Le epilessie oggi
Prof. Raffaele Canger
Cattedra di Neurofisiologia Clinica dell’Università, Centro Regionale per l’epilessia, Milano
“E qual è quel che cade, e non sa como per forza di demon ch’a terra il tira, o d’altra oppilazion che lega l’omo, quando si leva, chè intorno si mira tutto smarrito della grande angoscia ch’elli ha sofferta, e guardando sospira, tal era il peccator levato poscia”. Con queste due terzine Dante sintetizza magistralmente le due più accreditate credenze esistenti nei confronti della natura dell’epilessia: quella magica, ovvero della possessione demoniaca, e quella scientifica, che considera l’epilessia una malattia, ovvero una “oppilazion” che affligge l’umanità. La prima traduce convinzioni millenarie, che hanno trovato ampio riscontro nelle descrizioni dei Vangeli, ed in modo particolare in Marco; la seconda, al contrario, rispecchia la tradizione ippocratica, per la quale l’epilessia era di origine cerebrale, non aveva nulla di sacro né di demoniaco, ed era “da riguardare come tutte le altre malattie”. Dal greco epilambanein, che significa “essere colti, esser sopraffatti di sorpresa”, l’epilessia rappresenta un sintomo, una modalità di reazione del cervello agli stimoli più diversi. Meglio: le epilessie, in quanto tali modalità di reazione (rappresentate dalle crisi) sono oltre quaranta, e dipendono dalla sede in cui ha origine il cortocircuito che le sottende, dall’estensione della zona cerebrale interessata, nonché dal grado di maturazione cerebrale, e quindi anche dall’età del soggetto. La formulazione diagnostica di “epilessia” va effettuata sulla base di dati clinici (presenza di crisi, che mostrino una tendenza alla recidiva), mentre all’elettroencefalogramma (EEG) va riservato esclusivamente un ruolo secondario. Vi sono infatti persone “senza epilessia” che presentano tracciati alterati in senso epilettico, mentre numerosi sono i soggetti “con epilessia” il cui tracciato è del tutto normale. Molteplici sono le cause che possono sottendere un’epilessia: cause prenatali (secondarie a gameto, embrio o fetopatie, malattie o traumi della madre); perinatali (sofferenza da parto), che determinano il 60% delle epilessie da causa nota; postnatali, tra cui traumi, tumori, affezioni vascolari, metaboliche ecc. Le Epilessie da causa nota sono dette “sintomatiche”; quelle in cui si presuppone l’esistenza di una causa, peraltro non dimostrabile, vengono chiamate “criptogeniche”. Esistono, inoltre, epilessie “sine causa” legate a una predisposizione familiare su base genetica. E’ importante sottolineare come il tipo di crisi non dipenda mai dalla causa, bensì dalla sede in cui ha origine il cortocircuito. Sulla base di dati clinici ed elettroencefalografici si distinguono epilessie generalizzate ed epilessie parziali. Nelle prime, il cortocircuito interessa sin dall’inizio tutto il cervello (si distinguono forme “primarie”, che derivano da una predisposizione genetica, mentre si parla di forme “secondarie”, quando esiste una presumibile causa); nelle seconde, il cortocircuito ha un’origine focale, circoscritta, che determina crisi semplici, quando non vi è perdita di contatto con l’ambiente, e crisi “complesse”, quando tale perdita è presente. In una relativamente piccola percentuale di casi, poi, le crisi hanno un inizio parziale, ma il cortocircuito presenta successivamente una generalizzazione secondaria (epilessie parziali con generalizzazione secondaria). E’ opportuno sottolineare come le epilessie “generalizzate” siano età-dipendenti, mentre quelle “parziali” possano insorgere a qualsiasi età. Ciò significa, contrariamente a quanto ritenuto da molti, che le epilessie si manifestano in qualsiasi momento della vita, anche se è accertato che l’80% di tutte le forme di epilessia si manifesta prima del 20° anno di età.
Come già detto, il verificarsi di una unica crisi non consente di porre diagnosi di epilessia; il 5% della popolazione, infatti, presenta una unica crisi nel corso della vita. La prescrizione di una terapia antiepilettica, pertanto, va effettuata unicamente in soggetti con crisi “recidivanti”, indipendentemente da quanto rilevato all’EEG. L’affermazione che curando soggetti i cui tracciati sono patologici si possa “prevenire un’epilessia” è falsa. La prevenzione va effettuata nelle sale parto, migliorando l’assistenza perinatale, adottando misure che riducano la gravità di possibili traumi craniocerebrali (casco, cinture di sicurezza, ecc.), oppure ancora trattando adeguatamente episodi convulsivi febbrili, se prolungati (frequenti in età evolutiva), o coloro che siano stati sottoposti a traumi o interventi importanti a carico del sistema nervoso centrale. Sono concetti, questi, che dovrebbero essere noti a tutti, in quanto la problematica “epilessia” è di vasta dimensione sociale: l’1% della popolazione, infatti, presenta un’epilessia (in Italia oltre seicentomila persone, più di novantamila nella sola regione Lombardia), con una incidenza di circa 25-30 mila nuovi casi ogni anno. Eppure, come risulta da un’inchiesta Doxa, il 27% della popolazione italiana adulta non ha mai sentito parlare di epilessia, e non ne conosce il significato. Come già è stato accennato, esistono oltre quaranta tipi di crisi. Nell’ambito delle epilessie generalizzate (che sono età-dipendenti), si verificano – durante il primo anno di vita – i cosiddetti “Tic di Salaam” (Sindrome di West), contrazioni brusche, ripetute, che assomigliano al saluto mussulmano, e che si accompagnano a un arresto dello sviluppo psicomotorio. In periodo prescolare sono tipiche le crisi “acinetiche” (Sindrome di Lennox-Gastaut) che comportano una improvvisa caduta a terra dalla quale il soggetto si rialza immediatamente, spesso dopo aver riportato ferite al volto o al capo. In età scolare si verificano le “assenze” (Sindrome di Friedman) ovvero perdite di contatto con l’ambiente di breve durata, che possono ripetersi anche cento e più volte nel corso della giornata, condizionando gravemente il rendimento scolastico di coloro che ne soffrono. I bambini “si incantano” per pochi secondi, e immediatamente dopo riprendono l’attività interrotta, o il filo del discorso. In età adolescenziale, invece, si verificano – specie dopo il risveglio – scosse brusche (Sindrome di Janz) generalmente limitate agli arti superiori, favorite da risvegli precoci, stress o veglie prolungate. Gli oggetti che il soggetto ha in mano, a seguito della crisi, vengono scagliati a terra. Nell’ambito delle epilessie parziali (non età-dipendenti), il tipo di crisi è legato alla zona cerebrale in cui ha origine il cortocircuito: se è interessata la zona motoria, il sintomo si traduce con scosse più o meno ritmiche a carico di un segmento corporeo; se è coinvolta la zona sensitiva, si avranno parestesie (formicolii). Le crisi possono manifestarsi anche con sintomi visivi, gustativi, uditivi, quando sia interessata la rispettiva zona cerebrale. Accanto a queste manifestazioni, sempre uguali nello stesso soggetto, che non sono accompagnate da perdita di contatto con l’ambiente (il soggetto “vive” la propria crisi), vi sono le crisi parziali complesse. Precedute, in genere, da una sensazione che viene avvertita dal soggetto (la cosiddetta “aura”), sono caratterizzate da una perdita di contatto con l’ambiente, e dalla comparsa di tutta una serie di automatismi (orali, gestuali, verbali, deambulatori) e di fenomeni vegetativi più o meno intensi (pallore, rossore, sudorazione, aumentata secrezione salivare, ecc.). Le crisi, la cui comparsa è spesso a grappolo, terminano con una fase confusionale, con graduale ripresa dello stato di coscienza. La crisi epilettica di cui tutti hanno sentito parlare, e che tanto panico genera in chi la osserva, è quella di Grande male: grande, in quanto fenomenologicamente più vistosa, non in quanto più grave sotto il profilo prognostico. Esistono, infatti, grandi mali che guariscono subito e piccoli mali non controllabili da alcuna terapia. Il soggetto emette un urlo, cade al suolo con gli occhi arrovesciati, irrigidito, cianotico in volto con la bava alla bocca, presentando successivamente contrazioni brusche ai quattro arti, alle quali segue generalmente un periodo più o meno lungo di sonno, o di malessere generale (dolori muscolari, nausea, vomito). Contrariamente a quanto si crede, la lingua – nel corso della crisi – non cade all’indietro. Pertanto le pratiche comuni di tentare di aprire la bocca per tirare fuori la lingua, oppure mettere qualcosa tra i denti per evitare una morsicatura della medesima, sono errate, in quanto possono danneggiare sia coloro che le mettono in atto, sia quelli che le subiscono. Quando si interviene, infatti, per evitare la morsicatura della lingua, questa – se doveva verificarsi – è già avvenuta. Gli arti, poi, non vanno mai trattenuti per il rischio di possibili fratture. Di fronte a un soggetto con crisi basta porre sotto il capo un oggetto morbido o un cuscino, slacciare il colletto, ruotare il capo da un lato, se vi è eccessiva produzione di saliva, e aspettare che la crisi cessi. Chiamare un’ambulanza è per lo più inutile, in quanto il soggetto arriva al Pronto Soccorso a crisi terminata, e i provvedimenti cui viene sottoposto sono spesso del tutto inutili.
Di epilessia si può guarire. In sette casi su dieci si ottiene, comunque, un controllo della sintomatologia se, a una corretta diagnosi, segue la prescrizione di una terapia idonea, cose queste che non sempre si verificano. Quest'ultima è spesso rappresentata dal Valproato di sodio, unico farmaco antiepilettico ad ampio spettro d’azione attualmente in commercio, e dalla Carbamazepina, soprattutto nelle Epilessie parziali. Generalmente si fa ricorso a una monoterapia, vale a dire alla prescrizione di farmaci a composizione chimica unica, la cui posologia può essere messa a punto mediante la determinazione del dosaggio plasmatico del farmaco. Tutti i farmaci antiepilettici possono determinare l’insorgenza di effetti collaterali che possono essere di natura idiosincrasica (reazioni di tipo allergico), oppure dose dipendenti o ancora, dose indipendenti. Il medico che prescrive una terapia deve quindi informare il paziente sulle modalità con le quali si possono manifestare tali reazioni avverse, e soprattutto deve poter garantire una reperibilità immediata qualora la terapia dovesse creare all’utente effettivi problemi, o anche soltanto timori. La terapia delle epilessie è in genere lunga, e può durare spesso anche tutta la vita. In non molti casi, tuttavia, la posologia potrà essere ridotta, sino alla sospensione del farmaco, quindi alla guarigione completa. Dopo una trentennale esperienza epilettologica ritengo che “guariti” dall’Epilessia debbano ritenersi “tutti coloro con Epilessia, le cui crisi siano controllate dalla terapia in atto”. Il sogno che “troppi” pazienti rincorrono, di condurre una vita senza la “schiavitù” del farmaco è troppo spesso frustrato da imprevedibili ricadute. Le persone con epilessia devono e possono condurre una vita uguale a quella delle persone senza epilessia. Se le crisi non sono controllate, tuttavia, è sconsigliabile fare il bagno senza un testimone, mentre è vietata la guida di un veicolo. Dopo due anni senza crisi, tuttavia, è previsto il rilascio della patente. Una donna con epilessia, anche se in trattamento, può portare a termine una gravidanza senza problemi particolari, purchè sia seguita da persona competente. Anche se nella letteratura esistono segnalazioni di un aumentato rischio teratogenetico, nel nostro campione di oltre seicento donne con epilessia, seguite per tutto l’arco della gravidanza dal 1977 a tutt’oggi, il numero di nati presenta una incidenza di malformazioni che è di poco superiore a quello rilevato in nati da madri senza epilessia. Per ridurre l’incidenza di malformazioni è opportuna la somministrazione di 4 mg di acido folico da assumere in epoca preconcezionale sino al terzo mese di gestazione. Nessuna malattia presenta risvolti medici e sociali, tra di loro così interdipendenti, come l’epilessia. Numerose sono, infatti, le problematiche sociali che coinvolgono le persone con epilessia, non solo nell'ambito della famiglia e della scuola, ma anche nel mondo del lavoro. La collettività accetta senza difficoltà coloro che presentano un handicap stabile, ad esempio una paresi spastica, e rifiuta invece chi è del tutto normale ed improvvisamente va “contro la logica” e sconvolge l’ordine delle cose, con una crisi di breve durata. Atteggiamenti, questi, che derivano da scarsa informazione, che sono tuttavia spesso sostenuti da disposizioni legislative discriminanti ed inique. Chi ha l’epilessia, ad esempio, sulla base di presupposti non supportati da adeguati criteri scientifici, non può donare il sangue, oppure operare in strutture della pubblica amministrazione. Disinformazione che noi cerchiamo di combattere attraverso l’attività delle Associazioni regionali per la lotta contro l’epilessia, con campagne stampa, dibattiti televisivi e radiofonici, incontri nelle scuole, con l’aiuto di quei pochi che ci danno una mano e, qualche volta, anche un aiuto economico. Tutti sostengono la campagna per la lotta al cancro, forse perché di cancro si muore. La morte civile cui sovente il cittadino con epilessia va incontro è tuttavia spesso ben più tragica di quella che pone fine alla nostra esistenza
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